Come già fatto notare qualcuno prima di me, ci sono vari elementi che accomunano la comunicazione di Renzi, l’aspirante leader della sinistra italiana, a quella di Papa Bergoglio. Innanzitutto, la fatica costante di apparire in rottura con il passato e con i predecessori. Linguaggio verbale, corporeo, pubblicitario comunicano una sola cosa: cambiamento. Si lasci al singolo il giudizio sulla fattualità di questa rivoluzione: qui parliamo solo di strategie comunicative. Le parole scelte, le pose fotografiche, i luoghi (fisici e mediatici), il contatto con il pubblico, … Tutto pensato – strategicamente – all’insegna della rottura con il passato e con i predecessori.
Si tratta, molto probabilmente, dello stadio avanzato di un processo iniziato già un po’ di anni fa (almeno in Italia) e che ha visto polarizzarsi alcune parole d’ordine verso i campi semantici del bene e del male, secondo uno schema che vede gioventù e cambiamento come insiemi semiotici positivi; vecchiaia e immobilità come negativi.
Guardando le ultime campagne elettorali (ma si potrebbe andare anche più indietro nel tempo) ci si può accorgere facilmente di come gli schieramenti politici abbiamo fatto ricorso a un lessico fatto di parole come riforme, cambiamento, innovazione, crescita, sviluppo per parlare di se stessi; e di altre come vecchiaia, immobilità, novecentesco, ideologico, comunista, democristiano per descrivere gli avversari.
La parola riforme, in particolare, registra un uso crescente, soprattutto da quando i problemi di bilancio sono diventati più pressanti e, spesso, per colpevolizzare gli avversari della mancanza di competitività e crescita del paese.
Quella di Renzi, insomma, sembra essere la strategia che vuole chiudere definitivamente i conti con il passato.