La Fata turchina

Stava ancora scegliendo il colore della giacca di pelle quando, in preda ad un attacco isterico, decise che non era veramente possibile che questi qua sotto facessero tutto sto fracasso continuo! E poi, guardandosi allo specchio, come Cristo si fa a indossare dei pantaloni così!? Fuori si sentivano i boati della folla che attendeva la sua uscita sul balcone della villa e temeva che potessero danneggiare le statue settecentesche che aveva fatto ricoprire di tinte fucsia e di brillantini. Si diresse di corsa verso il computer e pubblicò un sondaggio on line per scegliere il colore migliore.
Intanto sul comodino la sua pistola brillava appena lucidata; la prese e si tuffò sul divano iniziando a sparare contro il lampadario: non era ancora giunto il momento di trasformarsi in un cane da salotto, protetto da pareti sicure, che scodinzola sulla moquette e si adagia pigramente di fronte al caminetto acceso. Pensava di avere ancora tempo prima di arrestarsi e uggiolare a pancia all’aria disteso sopra improbabili tappeti di Kars, kilim delle multinazionali del finto-etnico, sdraiato a terra alla portata dei lapilli e osservato severamente da leopardi imbalsamati, uccisi in safari domestici.
Ma durò poco la pacchia. Non era arrivato manco al terzo colpo che già il boato della porta gli annunciò le gridate rauche successive.
«Tre punti percentuali. Tre punti percentuali! TRE PUNTI PERCENTUALI! Cristo maledetto!»
«Cosa vuoi dire? Eh, che vuoi che ne sappia io? Mi sto massacrando di puttanate scritte in continuazione. Che devo fare: ammazzarmi in piazza?»
«Non sarebbe certo male. Così ti levo dai coglioni e faccio un regalo al mondo. Intanto, mentre tu ti conti i peli del cazzo, quegli altri crescono e vanno ospiti dei programmi tv»
«Ma che merda c’ha in testa la gente? Prima sono tutti qui sotto a fare le scimmie e poi cambiano idea perché uno gli racconta due minchiate?»
«Siamo noi – porco dio – a raccontare minchiate: siamo NOI! – gli levò la pistola dalle mani e gliela puntò alla nuca – Te lo vuoi ficcare in testa una volta per tutte che noi dobbiamo raccontare tutta la storia e solo noi dobbiamo avere diritto a raccontare tutta la storia!?»
Era ingiarmato, bianco come una mozzarella e senza manco una goccia di sudore dentro che gli potesse bagnare un poco la faccia.
Intanto i partecipanti al sondaggio viravano verso cifre da fare incrizzolare la carne: il colore prediletto era il viola.
Entrò una delle segretarie per comunicargli che le azioni del suo gruppo stavano calando a calafunno e che la procura doveva per forza arrestare l’amministratore delegato e – temeva – questa volta non c’era proprio modo di dare la colpa a qualcun altro.
Ma lo trovò inginocchiato sul tappeto di pelo bianco col moccio che gli colava dal naso e la faccia bianca più bianca del tappeto. Gli corse addosso e gli prese le guance tra le mani per capire che gli stesse succedendo, ma quello si alzò di colpo impaccandole due schiaffi sulla faccia e si mise a bestemmiare ogni santo e santissimo che gli capitava a tiro. Si fermò un attimo, prese fiato e si diresse verso di lei allungandole le mani addosso per girarla e alzarle la gonna. Ormai le mutande non le portava più; tanto sapeva che se le doveva togliere ogni tre per due.
Fotteva come un grillo attaccato all’alta tensione: pareva un indemoniato. Ma, per fortuna, ci metteva poco a finire (se ci riusciva) e dopo la lasciava in pace.
Andò di nuovo al computer: era arrivato il momento della diretta streaming. C’era un angolo allestito apposta con una libreria alle spalle che conteneva oggetti di vario tipo raffiguranti per lo più patiboli con corde per impiccare, stronzi di merda finti, il simbolo del dollaro in legno verde con dietro delle caricature di varie figure politiche e di banchieri.
«Ve la state scialando, eh, cittadini miei? Ve la spassate alla grande oggi con le vostre zoccole in giro per casa! Quei frocioni della “classe dirigente”… oh oh oh sentite come suona bene questa parola: “la classe dirigente”! ahah… ma si dirigessero questo cazzo! – e si alzó in piedi gesticolando con la mano aggrappata ai genitali -; questi frocioni vogliono farvi spaccare il culo di lavoro mentre loro se ne stanno negli alberghi di lusso a farsi spaccare il culo da quei negri con l’AIDS!»
Intanto fuori si sentiva un rucculìo continuo di rumori e gridate: pareva di stare nella giungla. Gli venne voglia di prendere la carabina e andarsene un po’ a sparare per il giardino, puntando a quegli stambecchi che si era fatto regalare dopo i famosi ricatti al magistrato e che stavano diventando davvero belli.
«Quei cacciatori di frodo non fanno altro che puntare alle vostre tasche per spassarsela mentre voi lavorate. Ma li manderemo tutti via! Tutti via! Tutti!.
«Ma lo capite che la vita é una tempesta, e prenderlo nel culo é un lampo? Lo capite? Le banche ti chiedono soldi e fiducia, però legano la biro a una catenella! Poi, la politica, la politica! LA P-O-L-I-T-I-C-A: qui da noi basta un italiano per fare un latin lover, due italiani sono un casino, tre italiani fanno quattro partiti! E le banche se la scialano, cittadini miei, se la scialano! E come se se la scialano!
«Questo fanno i Padri Puttanieri, quelli che hanno sulle spalle la più grande rapina ai danni delle giovani generazioni. Ma noi abbiamo il nostro programma ed è coerente, se qualche idiota si aspetta il solito comportamento della politica marcia ha sbagliato; la merda deve stare insieme nella fogna!»
Puf, appena si spensero i riflettori, BUM!, di nuovo la porta e le urla.
«Ma che cazzo fai, Cristo dio, CHE CAZZO FAI?! Ma le vuoi dire due parole che ci facciano crescere? Le vuoi dire?!»
«Ma ho fatto tutto quello che mi dicevi: ho sputtanato i nemici facendoli sembrare i responsabili di ogni cosa. Che cosa c’è che non va?»
«Cosa c’è che non va? Cosa c’è che non va?! Ma tutto, cretino mio! Tutto! Tutto! Fai discorsi che quando non sono sconclusionati, sono troppo difficili. La gente non vede chiaro lo schema. Comincia a fare domande, a criticare e poi a chiedere e a pretendere e noi siamo fottuti. La schema deve essere facile e chiaro: tutto il male da una parte, il bene dall’altra. Come nei romanzi di Tanken: i draghi e i giganti affamano il popolo; gli Slopper sono l’unico bene che può salvarli; il re governa con saggezza e senza proteste o lamentele. È semplice, cretinetta, è semplice: impara.»
Arriva di nuovo la segretaria con il discorso scritto che deve recitare dal balcone. Si gira, alza la gonna appoggiandosi al tavolo e si fa sbattere direttamente senza aspettare che la forzi lui. Intanto gli spiega cosa deve dire.
Non aveva ancora finito quando entrò una banda circense di nani, froci e ballerine a pittargli la faccia con trucco e cremine, bigodini, stoffe, colori e quant’altro di indefinibile. Mezz’ora di lavoro in dieci persone per fargli una faccia congrua.
«Ci avevano detto che le finestre e le porte erano murate. Che non esisteva un’uscita – esordisce appena affacciato dal balcone – Poi abbiamo sentito un flusso di parole e di pensieri che veniva da chissà dove – uhhhhh un boato frastornante di urla e di pianti – Da fuori. Da dentro. Dalla Rete, dalle piazze. Erano parole di guerra – il boato aumenta, i pianti diventano più forti, le urla salgono, qualcuno suona il sassofono – I nostri amici ce le tenevano chiuse queste porte, non volevano farci entrare. avevano paura di noi, che ci prendessimo i loro privilegi. Li abbiamo mandati a fare in culo, ragazzi! A fare in culo! In culo! – i rumori sommergono ogni cosa, le urla sembrano un solo vaffanculo diretto a tutto il mondo, persino il sax sembra suonare un vaffanculo – Abbiamo usato queste parole come torce nel buio, come asce di guerra contro di loro, i nemici della gente! E ora siamo fuori, siamo usciti nella luce e non ci siamo ancora del tutto abituati. – tutta la folla si mette le mani sulla faccia e finge di tapparsi gli occhi – Stringiamo gli occhi e, anche se sappiamo che stiamo percorrendo l’unica via possibile, abbiamo qualche timore, ed è normale. È straordinario: il cittadino che si fa Stato. Abbiamo capito che eravamo noi quella porta chiusa, che le parole guerriere erano da tempo dentro di noi, ma non volevano venire fuori, pensavamo di essere soli e invece eravamo moltitudine. E adesso siamo sorpresi che così tante persone a noi del tutto sconosciute avessero i nostri stessi pensieri, abbiamo condiviso parole guerriere, delle armi potenti che abbiamo usato per cambiare tutto, per ribaltare una realtà artificiale. Parole guerriere dal suono nuovo e allo stesso tempo antichissimo si sono propagate come un’onda di tuono e sono arrivate ovunque annientando la vecchia politica. Siamo diventati consapevoli della realtà». Il coro universale, i pianti, il sax, i vaffanculi, … tutto sembrava accompagnare il ritrarsi in casa del sommo opinion leader, solo portatore di ogni pensiero giusto. Le voci sembravano un solo enorme rutto rivolto al mondo, una scoreggia da buona digestione, la pancia dell’uomo medio che vedeva giustizia delle sue ragioni.
Appena chiusi i battenti, la folla scalpitante di gioia, entusiasmo, rabbia sfogata si divise in due gruppi: da un lato quelli appartenenti alla generazione 1.0 che si dirigevano verso un concerto neomelodico con dancing agé annesso; dall’altro, i 2.0 con concerto elettronico e Dj set più cocktail bar. Non sappiamo dove fosse finito il sassofono.
Era tutto un arcobaleno di luce che parlava da quella villa del Paese al Paese.
Ma per quanto nella stanza il tum tum tum da fuori fosse soffocato, il fracasso era lo stesso insopportabile. Non appena tuffato sul divano e presa in mano la pistola, la segretaria rientrò.
«Eh porco zio! Ma oggi non ti basta mai!»
«Veramente volevo solo aggiornarti sugli ultimi avvenimenti sul fronte arresti e scandali finanziari»
«Girati, va’!»
Finito il servizio, si rimise sul divano e ricominciò a sparare al lampadario. Era proprio indisposto: non poter fare un safari di caccia in giardino, oggi, per colpa di quella gentaglia lo metteva davvero di cattivo umore.
BUUUUM!
«Sei un deficiente, un emerito deficiente! “Pagella democratica” ha fatto un’analisi delle tue dichiarazioni di ieri: hai sputato una marea di merda di dati tutti sbagliati e ora tutti ci stanno marciando sopra. Dobbiamo inventare un complotto: giustificarci e buttare tutto in caciara e far schierare quella massa di deficienti: chi è con noi e chi sta con l’elite!»
Gli sbattè la porta in faccia e lo lasciò sul divano con la pistola in mano. Iniziò a fissare i giaguari imbalsamati che stavano vicino al muro circondati da canne di bambù e da un parapetto in legno finto etnico.
Aveva la bava alla bocca, era bianchissimo. Si mise la pistola tra le labbra e iniziò a giocherellare. Ad un certo punto si alzò e si mise a correre gridando come un guerriero tribale verso la porta appena sbattuta in faccia. Come la aprì vide l’altro in mutande con un asciugamano sulle spalle seduto su un macchinario tutto ferri incastrati e neri intento a sollevare pesi per tonificarsi quel fisico cadente ormai senza rimedio. Stava per puntargli la pistola contro e sparare quando quello, invece già pronto e scaltro, gli lanciò un peso da 45 chili addosso che lo fece cadere a terra di botto e sparare un colpo verso il soffitto.
Accorsero tutte le segretarie dalle stanze vicine le quali, vedendo la scena, si fecero subito il film di quanto successo e non dissero manco una parola. Anche perché di fronte, a guardarle, avevano uno che non era proprio tanto dolce di sale.
«Deficiente! – gli urlò contro alzandosi – Deficiente che non sei altro! Non puoi morirmi ora, cretino, cretino deficiente, ho troppo bisogno di te per realizzare il grande progetto, il sogno che porto in grembo da una vita. Svegliati! Svegliati!»
«Chiamate i nostri medici! Chiamate i medici!» urlò a quelle sciacquette che stavano lì immobili senza fiatare.
E i medici arrivarono subito, uno dopo l’altro: arrivò, cioè, uno che sembrava un corvo, l’altro una civetta e l’altro ancora il Grillo-parlante uscito da Pinocchio.
«Ditemi, se è vivo, ditemi se è vivo! – urlò quello che con i capelli lunghi che si trovava sembrava davvero la fata turchina – fatemi sapere se è morto o vivo!»
A quest’invito, il Corvo, facendosi avanti per primo, tastò il polso del bambolotto a terra; gli tastò, poi, il naso, il dito mignolo dei piedi; e quand’ebbe tastato bene bene, pronunciò solennemente:
«A mio credere è bell’e morto: i principi sintomatici della mia analisi ci indicano che la complessità e la collocazione degli organici – parlando con la precisione e la determinazione delle nuove proposizioni – richieda una trattamento di tipo epidemiologico con poche speranze di riuscita»
«Mi dispiace, disse la Civetta, di dover contraddire il mio illustre amico e collega: per me, invece, è vivo; non dimentichiamo che l’avvio dell’azione generale di formazione delle attitudini svolge un ruolo essenziale nella formazione delle forme d’azione e quindi di cure salvifiche immediate»
«E lei cosa dice?» domandò la Fata al Grillo-parlante.
«A me pare che noi qui stiamo a pensare di salvare la repubblica ammazzando Cesare quando poi apriamo la strada ad Augusto. Bisognerebbe cablare una soluzione apposita che ci permetta di stravolgere le normali concezioni di cura con nuove soluzioni che parlino un linguaggio diverso».
A questo punto si cominciò a sentire un suono soffocato di rigurgiti gastro-intestinali e grugniti indecifrabili.
Il morto-vivo cercava ancora di prendere la pistola ma gliela levarono subito di mano. Arrivò di corsa una delle segretarie blaterando parole di disperazione.
Pare che un’invasione informatica di trolls avesse distrutto la loro piattaforma informatica.
Ad un certo punto iniziò a sembrare che fosse scoppiata la guerra. Un martellare continuo sulle porte e sulle finestre e tonfi terribili che venivano da fuori. La porta lì vicino si squarciò come fosse stata di carta velina e una folla inferocita entrò nella stanza «Farabutti!», «Ladri!», «Ci avete preso in giro per un sacco di tempo e ora ve la spassate nel lusso», rivomitando tutto il livore di cui si era beatamente nutrita finora.
Fecero strage di tutto e di tutti, anche di medici e segretarie. Queste ultime, prima, vennero stuprate a turno. Della villa restarono solo le ceneri.

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